Un pieno di vitamina K aiuta a proteggere la memoria e le ossa
- Carla Favaro
- 13 giu 2016
- Tempo di lettura: 2 min

Una vitamina, forse meno nota di altre, la K (il cui nome deriva dal ruolo che ha nei processi di coagulazione del sangue, in tedesco “Koagulation”) è ultimamente al centro di diversi studi. In uno dei più recenti, pubblicato sulla rivista scientifica Maturitas, condotto su 160 adulti con più di 65 anni, ricercatori dell’Università di Angers, in Francia, hanno osservato un’associazione fra elevate assunzioni di vitamina K nella dieta e minori problemi di memoria.

Come funziona la vitamina K
Queste osservazioni, preliminari, potrebbero trovare una spiegazione nel fatto che da poco si è scoperto che la vitamina K è coinvolta nella protezione del sistema nervoso, oltre che nella regolazione del metabolismo osseo e nella prevenzione delle malattie cardiovascolari (attraverso la sua capacità di inibire i processi di calcificazione delle arterie). Poiché le verdure, soprattutto quella a foglia verde, sono la principale fonte di vitamina K, prevederle nella dieta è importante anche per queste ragioni. Ma chi segue una terapia con anticoagulanti dovrebbe evitare il consumo di cibi ricchi di questa sostanza? «I cumarinici — spiega Marco Moia, presidente dei Centri di terapia anticoagulante italiani — sono anticoagulanti orali, usati da quasi un milione di italiani, che contrastano l’azione della vitamina K impedendo l’attivazione di alcuni fattori della coagulazione». «Contrariamente a quanto alcuni medici continuano a suggerire, il consumo abituale di verdura a foglia verde non va sconsigliato a chi segue queste terapie — chiarisce Moia — tanto è vero che nel nostro centro seguiamo vegetariani e vegani senza imporre loro cambiamenti dietetici. Importante è controllare la coagulazione periodicamente: se necessario sarà il medico ad adeguare la terapia». «Non dimentichiamo — precisa Moia— che alimentarsi in modo sano riduce il rischio di molte malattie e questo è ancora più importante per i meno giovani, quali sono, nella maggioranza dei casi, i pazienti in terapia con anticoagulanti».